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Product Highlights

Mayday Anniversary

Product
Mayday Anniversary
Designer
Konstantin Grcic
Photography
Bastian Achard
Interview
Hannah Martin

Konstantin Grcic reinterpreta Mayday, una lampada dalle infinite possibilità di adattamento, in occasione del suo 20° anniversario.

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Stories - Mayday Anniversary - cover video
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Mayday è la lampada per l’illuminazione da lavoro definitiva. È stata creata dal designer tedesco Konstantin Grcic nel 1999 ed è dotata di un riflettore a forma di cono collegato a un’impugnatura, un gancio e un cavo di avvolgimento, può essere appesa alla testiera del letto, sopra un tavolo da cucina o utilizzata come torcia per trovare un oggetto perso sotto il divano. Nello studio di Berlino di Grcic questa adorabile lampada si può trovare agganciata a un tubo del riscaldamento, appoggiata su una libreria o sulla scrivania del designer a illuminare il suo lavoro. Per festeggiare oltre venti anni di successo, Flos presenta un’edizione per l’anniversario della lampada in alluminio pressofuso lucido. E la costruzione semplice e senza tempo di questa icona? È rimasta sempre la stessa

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Hannah Martin: Raccontami la storia di Mayday. Da cosa hai tratto ispirazione per realizzarla?

Konstantin Grcic: Mayday è stata davvero un’idea spontanea. Si trattava di una lampada che volevo per me, una lampada che ritenevo dovesse essere una sorta di attrezzo. Un attrezzo è un oggetto con una funzione precisa e molto concreta e solitamente è la forma a rendere chiara la funzione. Ecco cosa rende un attrezzo così bello. Lo guardi e capisci che cos’è e a cosa serve. Volevo inoltre una lampada che non avesse una collocazione fissa. Non è una lampada a sospensione da collocare sopra un tavolo, non è un abat-jour e non è nemmeno una lampada da garage. Non è nulla di tutto questo, ma è tutto questo allo stesso tempo. È una lampada molto versatile. In ufficio ho ancora il primo mock-up che ho realizzato all’epoca. È molto diverso dalla lampada definitiva, ma si notano comunque alcune caratteristiche che sono rimaste: il gancio, gli spuntoni per avvolgere un cavo lungo. Il cavo lungo mi era estremamente chiaro. Oggi si eliminerebbe semplicemente il cavo e si utilizzerebbe una batteria ricaricabile, ma vent’anni fa era qualcosa di impensabile.

Hannah Martin: Quale immaginavi sarebbe stato il suo utilizzo?

Konstantin Grcic: Avevo fatto un disegno con un pavimento, due pareti e un soffitto. La lampada si può usare in tutti questi orientamenti. Si può appendere al soffitto o alla parete, si può appoggiare al pavimento. E in tutte queste applicazioni è possibile usarla in diversi modi. L’ho dotata di un’impugnatura perché la consideravo anche una torcia. Anche se collegata a un cavo, era abbastanza lunga da poterla utilizzare in questo modo. Nel corso degli anni, vedevo sui social media come la usavano le persone; andavo a casa di qualcuno e vedevo una Mayday. Le persone mi spiegavano come la usavano. Tutti hanno una storia da raccontare. È davvero questo il suo successo. Si tratta di una lampada che, anche se molto specifica, offre molte possibilità alle persone, che la possono usare come vogliono.

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Hannah Martin: Sul tuo sito web una persona la usa per riparare l’auto.

Konstantin Grcic: Un mio amico ha scattato quella foto a New York. Anche se ritengo Mayday una tipologia di lampada unica, ovviamente ho preso ispirazione da alcune lampade che mi piacevano. I meccanici sollevano l’auto e usano una lampada con un gancio che attaccano alla parte inferiore. O chi va in spedizione. Guardando queste lampade molto specifiche ne ho amato estetica, linguaggio o espressione, davvero su misura. Ciò implica anche che si tratta di strumenti. Queste lampade esistono per essere usate. Anche in caso di caduta, non si rompono. Ecco perché abbiamo scattato questa foto nel garage.

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Hannah Martin: Come mai hai scelto il nome Mayday?

Konstantin Grcic: Era il 1999. In Europa era di moda la musica rave e il 1° maggio si teneva questo famoso festival, il Mayday Festival. Credo avessi in mente quel nome. Ma naturalmente anche la richiesta di soccorso “Mayday! Mayday!”, che sembra derivi dal francese “m’aider”, ovvero “aiutatemi!”. Ma anche se Mayday è una richiesta di soccorso, ha un bel significato. In inglese significa anche “giorno di maggio”: un giorno pieno di sole, luce e positività. Mi sembrava bello. Trovare nomi è sempre difficile. Le persone hanno iniziato a usare il nome rapidamente, cosa che non accade sempre.

MAYDAY È STATA DAVVERO UN’IDEA SPONTANEA. SI TRATTAVA DI UNA LAMPADA CHE VOLEVO PER ME, UNA LAMPADA CHE RITENEVO DOVESSE ESSERE UNA SORTA DI ATTREZZO. UN ATTREZZO È UN OGGETTO CON UNA FUNZIONE PRECISA E MOLTO CONCRETA E SOLITAMENTE È LA FORMA A RENDERE CHIARA LA FUNZIONE.

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Hannah Martin: Torniamo al 1999, al momento della creazione del progetto. Com’era il mondo? Quali domande volevi fare e a quali domande volevi rispondere con il tuo lavoro?

Konstantin Grcic: Avevo 20 anni in meno rispetto a ora. 20 anni di vita in meno. Non mi ero ancora sistemato. La vita che vivevo era dettata dalla necessità. Ma era comunque bella. Generava indipendenza e libertà. La lampada e altri oggetti che ho progettato all’epoca sono stati realizzati con questo spirito. Mayday è stato il maggior successo, dal momento che è un prodotto davvero accessibile. Le persone la vedono, la ritengono interessante, la amano, guardano il prezzo e pensano “Posso permettermela perché il prezzo è onesto”: si tratta di un risultato difficile da raggiungere. Cerchiamo sempre di rendere le cose accessibili, ma spesso le cose semplici si rivelano essere piuttosto complicate e non accessibili. Con Mayday il risultato è stato perfetto: la tecnologia utilizzata, la semplicità che, 20 anni fa, era praticamente normale. Oggigiorno si direbbe che è una lampada piuttosto primitiva. Ci sono un riflettore, una sorta di impugnatura e un portalampada all’interno con un attacco a vite in cui avvitare la lampadina. La tecnologia è molto ridotta. Ed è ciò che ha contribuito a renderla accessibile. Credo che sia parte integrante di ciò che rende la lampada interessante ancora oggi. Adesso abbiamo a disposizione LED e componenti elettronici ed anche una lampada molto semplice è diventata decisamente più sofisticata. Ma una lampada come Mayday ha ancora un senso. Si può riparare in caso di rottura. La lampada proviene da un sistema e da un mondo che non esistono più, ma ha ancora un senso nel mondo odierno. Grazie alla sua semplicità, coerenza e trasparenza, la si comprende davvero.

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Hannah Martin: È così e basta.

Konstantin Grcic: C’è un aspetto positivo. Per 10 anni abbiamo discusso della possibilità di un aggiornamento, di utilizzare la tecnologia LED, eccetera. Abbiamo provato, ma non eravamo mai convinti, quindi abbiamo tenuto tutto così com’era.

Hannah Martin: Quali modifiche avete apportato all’edizione per l’anniversario?

Konstantin Grcic: Abbiamo modificato il materiale. L’edizione per l’anniversario non è un’evoluzione della lampada Mayday, ma un omaggio. Le abbiamo regalato un rivestimento più costoso. Solitamente la parte superiore della lampada è in plastica stampata a iniezione, mentre l’edizione per l’anniversario è in alluminio pressofuso, più solido e pesante. È adatto al riferimento originale dell’attrezzo e rappresenta quindi una variante o edizione interessante, pur non sostituendo l’originale.

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Hannah Martin: Mi piace l’idea dell’oggetto di design che viene considerato un attrezzo. E sembra che sia stato questo l’approccio adottato in gran parte dei tuoi primi lavori. Reinventavi questi oggetti estremamente pratici, come un cesto della biancheria, uno scolapiatti, un secchiello; cosa rende questi oggetti di uso comune così affascinanti?

Konstantin Grcic: Erano gli oggetti di design che adoravo. I riferimenti per questi oggetti sono spesso anonimi. Prodotti progettati da qualcuno, ma non come elemento di design, bensì al solo scopo di realizzare un buon prodotto, di creare qualcosa con attenzione e con il materiale giusto. AI tempi, avevo decisamente l’impressione che il design degli anni Novanta fosse esagerato. Era sovrabbondante. Troppa espressione. Troppi materiali. C’erano tantissime cose che si potevano eliminare. Ecco perché mi concentravo sugli oggetti essenziali, pratici, legati alla vita di tutti i giorni. Il fatto che questi oggetti fossero così comuni mi ha aiutato nel mio processo di design, che è diventato meno indulgente e più oggettivo. Mi ha aiutato a mantenere le distanze. Come ho già detto, Mayday era un progetto molto personale. Ma il mio riferimento era una lampada di uso davvero comune.

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Hannah Martin: Spesso il tuo lavoro viene definito semplice. Penso che sia una definizione adatta, ma credo anche che sia interessante il modo in cui riesci a creare qualcosa di semplice, ma dalla forma davvero inaspettata. Penso ad esempio alla tua Es Shelf: non si tratta di un oggetto rettilineo, ma il suo design è di fatto estremamente semplice.

Konstantin Grcic: È qualcosa che mi sta molto a cuore. Il mio obiettivo è sempre la semplicità, anche se so bene che la semplicità non è mai semplice da raggiungere, bensì molto complicata. Non ho mai amato il percorso formale secondo cui un oggetto semplice deve essere rettilineo. Non credo che debba essere così. Tornando all’attrezzo, l’attrezzo è perfetto nella sua semplicità, ma affascinante per quanto riguarda forma e dettagli. Non copierei mai un riferimento semplice senza farmi delle domande. Cerco sempre di trovare una versione ancora più semplice della semplicità o di cambiare l’idea stessa di semplicità. Ad esempio Jasper Morrison, un designer che ammiro e che è stato un mio grande mentore, adotta un approccio diverso alla semplicità. Utilizza oggetti che esistono già, rielaborandoli in modo molto simile. Li modifica solo leggermente con il suo tocco magico. A me piace invece stravolgere le cose e scoprire che ciò che riteniamo semplice si può fare anche in maniera completamente diversa.

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Hannah Martin: Che è il concetto alla base dello sgabello Miura.

Konstantin Grcic: È un ottimo esempio: si tratta di uno sgabello molto semplice. Il processo però non è stato affatto semplice: il design, la geometria, la modellazione. Ma vedendolo si pensa che sia semplice. Ha una funzione chiara e c’è un motivo dietro al suo aspetto.

Hannah Martin: Si sa dove appoggiare i piedi. Si sa come interagirvi. Ma se dicessimo a una persona di immaginare uno sgabello semplice, forse non penserebbe a Miura.

Konstantin Grcic: Esattamente, penserebbe a una seduta tonda e a tre gambe diritte.

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Hannah Martin: Ho letto che realizzi sempre modelli cartacei prima di realizzare qualunque cosa. È anche questo che ti aiuta ad arrivare a queste forme insolite?

Konstantin Grcic: Non è più così. Ma c’è stato assolutamente un periodo nella mia carriera durante il quale la modellazione era davvero importante nello sviluppo del prodotto. Usavo carta, forbici, nastro adesivo, un pezzo di fil di ferro, materiali molto semplici. Non era mia intenzione creare modelli in cartone semplici che assomigliassero davvero al prodotto finale. Avevo solamente bisogno di questi modelli basilari per comprendere la fisicità dell’oggetto. Ma spesso succedeva che in realtà il modello, a causa della semplificazione della geometria o del fatto che il cartone o il filo non erano in grado di fare alcune cose, aveva un valore estetico. Questi modelli basilari erano diretti, freschi, semplici: forse sto usando questa parola un po’ troppo! Nel corso degli ultimi dieci anni, i software si sono evoluti al punto che usiamo strumenti di modellazione sofisticati al computer. Si può stampare un modello in 3D da computer, cosa che 20 anni fa non era possibile. Il mio processo e di conseguenza i risultati sono un po’ cambiati insieme alla tecnologia. Non ho nostalgia del vecchio processo, ma ricordo com’era e mi piaceva. In alcuni casi, era una decisione consapevole seguire l’estetica di un modello primitivo invece di renderlo molto sofisticato.

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Hannah Martin: Raccontami del tuo lockdown. Mi interessa il modo in cui restare a casa, talvolta in spazi piccoli e fissi, abbia influenzato i designer. Ha cambiato il tuo rapporto con gli oggetti con cui vivi?

Konstantin Grcic: Abbiamo trascorso il lockdown a Berlino ma, a differenza di altri Paesi in cui le persone non sono potute uscire di casa per due o tre mesi, noi abbiamo sempre potuto farlo. Non abbiamo mai avuto l’obbligo di rimanere in casa.

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Hannah Martin: Quindi forse non ti ha particolarmente influenzato?

Konstantin Grcic: Una conseguenza del lockdown è stato il lavoro da remoto per il mio ufficio. I miei assistenti lavoravano da casa. Non potevamo trascorrere la giornata insieme in ufficio. Mi è mancato molto. Sono felice che quel periodo sia terminato per ora e che i miei assistenti siano tornati e possiamo lavorare insieme. Il processo di design è molto dinamico e interattivo. Durante il lockdown utilizzavano Zoom la mattina per discutere dei compiti assegnati a ciascun designer, che mi inviava i risultati alla sera, ma trovavo il tutto davvero frustrante. Non perché non facessero un buon lavoro, ma perché mi mancava il processo. Sentivo che, se avessimo avuto la possibilità di lavorare insieme nel pomeriggio, avremmo fatto le cose diversamente. Sarei riuscito a intervenire più rapidamente. Non credo che il mio processo sia adatto a una collaborazione a distanza.

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